TERRA AMARA

Tra regolari e irregolari, stando alle ultime stime, sono circa 400.000 i lavoratori stranieri impiegati nell’ agricoltura in Italia. La maggior parte arriva dall’ Africa Occidentale, dopo aver affrontato viaggi lunghi mesi, se non anni, oltre che prove atroci. Vivono in Italia ormai da più di dieci anni con un regolare permesso di soggiorno, avendo potuto contare sulla diretta assunzione nelle fabbriche del Nord, prima che la crisi limitasse o tagliasse il numero dei lavoratori. Molti, però, abitano in veri e propri ghetti: poli residenziali precari e fatiscenti, autogestiti e “autosufficienti”, dove sono presenti attività di vario genere. Dagli spacci alimentari alle macellerie, dalle sale tv a alla prostituzione, accanto a coiffeur, ciclofficine e spazi di culto. Tanti altri lavoratori hanno invece origini magrebine o balcaniche e sono in Italia dagli anni ’90; però che si tratti di africani o di lavoratori di altra provenienza, nel campo dell’agricoltura non si fanno distinzioni, né un contratto lavorativo serve per godere di migliori condizioni o tutele.
Il lavoro grigio è infatti un fenomeno sempre più diffuso in agricoltura, denunciato da MEDU nel rapporto Terra Ingiusta, nonché dalla Flai Cgil attraverso i rapporti Agromafie e Caporalato. In media, nelle varie raccolte, la paga dei braccianti stranieri oscilla fra i 22 e i 30€ al giorno.
Al fenomeno del lavoro grigio va poi affiancato quello del caporalato, antica tradizione nel lavoro agricolo nostrano. Ogni regione ha la sua forma peculiare, ma negli ultimi anni tale pratica si è trasformata nel cosiddetto caporalato etnico: un’intermediazione tra azienda e braccianti, gestita direttamente dai lavoratori stranieri presenti da più tempo in un determinato territorio di raccolta. Un fenomeno che, in alcuni casi, sfocia addirittura nella tratta a scopi di sfruttamento. Qualunque sia la forma assunta dal lavoro, da Nord a Sud, senza alcuna eccezione, l’intera Penisola è oggi afflitta da gravi limitazioni dei diritti. Esistono inoltre flussi stagionali che seguono i periodi di raccolta: dalla Calabria si va in Puglia, quindi in Campania, oppure si sale al Nord, per tornare nuovamente al Sud. E così via ogni anno.
Nonostante le molte denunce, la situazione dei lavoratori agricoli resta tuttora altamente a rischio.